domenica 28 maggio 2017

Il bacio della vedova – racconto giallo inedito, parte 2

Parte prima

Riassunto breve
Padre Marco, parroco e docente di religione in un liceo, è a Parigi come accompagnatore di alcune classi in gita. In un mattino di pioggia lui e gli altri colleghi si rendono conto che uno degli alunni, Livio Massenzio, è scomparso.

IL BACIO DELLA VEDOVA – PARTE DUE

 Ci volle più di un quarto d’ora per risalire almeno ai pochi dati certi.
 Livio Massenzio divideva la camera con altri quattro ragazzi della classe. Marco calcolò che in cinque facessero più meno metà della dose di buon senso che Dio di solito dava in dotazione ad ogni  individuo. Avevano estratto a sorte e uno, Carlo Macchi, era rimasto in camera. Era lui che aveva aperto la porta, quando verso l’una il professor Ferri era passato per l’ultimo giro di controllo. Gli altri quattro erano usciti dalla finestra per esplorare la Parigi notturna. Dopo aver girovagato un po’ sotto la pioggia, erano finiti in un pub dove avevano incontrato altri ragazzi italiani, anche loro in gita, e provenienti da Novara, una città non lontana dalla loro.
 – Livio sapeva che anche quelli del Carlo Alberto erano qui e aveva messaggiato con un suo amico per trovarsi. Loro per uscire hanno dovuto calarsi dal secondo piano… – commentò Ugo Giambelluca, uno dei fuggitivi.
 – Com’è possibile che un’altra scuola della provincia sia qui proprio in questi giorni? – domandò Ferri.
 – Ehm… Io e la collega del Carlo Alberto abbiamo organizzato assieme la gita – disse Anita. – Domani, per la serata finale, ci saremmo trovati nello stesso ristorante, pensavamo di fare una sorpresa a tutti… 
 In quel momento arrivò la guida. Avrebbe dovuto trovare la truppa a ranghi serrati già schierata al di fuori dell’albergo. Intuendo che qualcosa non andava, indugiava nell’atrio, incerta se raggiungere i docenti oppure no.
 – Cosa facciamo? – disse Ferri – Abbiamo la salita alla Tour Eiffel tra un’ora e mezza.
 – Non possiamo lasciare segregati qui in albergo più di cinquanta adolescenti – disse Marco. Lasciare troppi ragazzi in uno spazio ristretto senza dar loro abbastanza da fare era pericoloso quanto far scontrare atomi di uranio – Vai con loro, Raimondo, io e Anita cercheremo Massenzio.
 Ferri non era contento. Ne avevano già perso uno e se fosse accaduto qualcosa agli altri probabilmente l’assicurazione non avrebbe risposto, dato che mancava il numero minimo di accompagnatori. D’altro canto anche Ferri, che insegnava chimica, sapeva che era meglio evitare le condizioni per una reazione incontrollabile.
 – Perché devo andare io? – protestò debolmente.
 – Tu non parli francese. Forse dovremo cercarlo nelle stazioni di polizia o negli ospedali.
 – E cosa dico loro?
 – Qualcosa di terribile, che li spaventi e li convinca a non fare altre cretinate – disse Marco, sapendo di avergli affidato una missione impossibile.
 Il senso del pericolo, secondo il prete, non si sviluppa nell’uomo se non dopo i vent’anni.
*
 Il Carlo Alberto era il liceo più rinomato della provincia. Infatti, loro alloggiavano in un dignitoso tre stelle con vista sulla Senna, invece che nella bettola asfittica da cui era uscito Massenzio. Loro non si muovevano con i mezzi pubblici, era arrivato un pullman appositamente noleggiato per portarli a Versailles. E a loro nessun alunno era sparito.
 Clara, la collega con cui Anita aveva organizzato la gita, aveva pensato che l’amica le stesse facendo uno scherzo, quando con una telefonata le aveva spiegato la situazione. Adesso però era riuscita a individuare e isolare l’amico di Livio, Massimo Di Cataldo, un diciottenne tutto griffe e gel che guardava con aria strafottente i compagni che salivano sul pullman.
 – Tanto, che me ne frega a me di Versailles… 
 – Ma non avete chiamato la polizia? – stava invece chiedendo Clara, una donnina minuta e ansiosa quasi quanto Anita.
 – Prima cerchiamo di capire almeno quale commissariato chiamare… E poi, magari, Livio Massenzio sta solo smaltendo la sbornia da qualche parte – disse Marco. 
 La gita si stava trasformando in uno psicodramma dai toni foschi e, dato che gli era toccata la parte dell’adulto ragionevole, cercava di interpretarla con coscienza. Qualcuno doveva pur farlo.
 – Pensa che quell’idiota ha lasciato in camera i documenti – stava infatti dicendo Anita. – Se gli fosse successo qualcosa di terribile, non saprebbero neppure chi è.
 – Ho controllato i lanci d’agenzia – replicò Marco. – Nessun adolescente non identificato morto o in coma.
 In quel momento padre Marco sentiva forte il richiamo del darwinismo sociale e del suo pragmatismo. La prematura scomparsa senza eredi di Livio Massenzio sarebbe stata un bene per la genetica e per la società. Lui, però, aveva votato la vita al Dio della misericordia e degli ultimi. Si chiese se il figliol prodigo della parabola fosse sprovveduto come Livio. In ogni caso, il suo compito era farlo tornare all’ovile e poi sacrificare un bue grasso per festeggiare l’evento.
 – Allora, tu cosa ne sai di questa storia? – chiese a Massimo, l’amico strafottente di Livio.
 Chissà se gli era concesso fargli interpretare la parte del bue grasso?
 – Niente, don. Non ci lasciano neanche uscire la sera, siamo il gita, non in carcere.
 – Così sei evaso rischiando di romperti l’osso del collo e sei andato in un pub del lungo Senna per incontrare Livio e i suoi compagni. Dimmi qualcosa che ancora non so.
 – Abbiamo bevuto una birra, lei cosa ci va a fare in un pub?… Ah, già, è un prete, glielo devo spiegare cosa si va a fare in pub?… Avevano uno di quei vecchi giochi… Come si chiama? Un flipper. Abbiamo giocato un po’
 – Una serata da oratorio. E perché Livio non è tornato e tu puzzi ancora di canna?
 – Puzzo di che? 
 Marco iniziava ad irritarsi. Era abituato al fatto che i ragazzi sul momento lo prendessero per cretino. Dopo tutto era un prete e di solito aveva modi placidi, da confessionale, più che da pulpito. Prima di essere chiamato a reggere una parrocchia era stato docente universitario di Storia del Vicino Oriente Antico e il fatto che conoscesse l’aramaico non giovava alla sua fama. Di solito, però, i ragazzi erano più svelti a rendersi conto dell’errore.
 – Anita, scusa, vai a controllare la sua camera. Vediamo se è il caso di fare una telefonatina a casa, o magari direttamente alla polizia.
 Essere parroco, aveva scoperto con un certo meschino piacere, gli dava dei poteri. Se dava un ordine era difficile che venisse contraddetto e nessuno metteva in dubbio il suo diritto a ficcare il naso nei fatti altrui. Senza fiatare, Anita e Clara si fecero dare le chiavi.
 Intanto lui e Massimo erano rimasti soli nella hall. 
 – Dimmi un po’, tu e Livio decidete di starvene da soli ancora un po’ nel pub. Livio frequenta il liceo sperimentale, ma di francese ha quattro, non credo sia in grado neppure di ordinarsi una birra. Tu non lo studi neanche, il francese.
 – Io so ordinare una birra in tutte le lingue del mondo e mia mamma è francese.
 – Ah, ecco. Senti un po’, il tuo compagno di camera ha detto che sei tornato alle sei, il pub, però, ha chiuso un po’ prima…
 – Sto’ stronzo… Pure giuda. E pensare che gli ho trovato i biglietti dello stadio…
 – So io cos’ha fatto… Anche se non so con chi!
 Anita e Clara erano tornate nella hall con sguardo da Erinni. Clara teneva in mano una scatoletta di cartone che passò a padre Marco.
 Hot Love. Il prete la osservò con una certa curiosità, non era il genere di articolo che gli capitasse spesso in mano. Poi lanciò uno sguardo alle colleghe.
 Niente da fare. Il ruolo da inquisitore era stato affidato a lui. Agli occhi delle due donne, la categoria a cui apparteneva gli dava una speciale qualifica per sostenerlo.
 Sospirò.
 – La marca è francese e mancano due preservativi. O hai avuto una notte ancora più movimentata di quanto pensassi, o uno l’hai dato a Livio.
 – Che ne sa lei che è un frocio represso?
 La tentazione di dargli un manrovescio fu fortissima. Marco si girò verso le colleghe, alla ricerca di un sostegno per la sua pazienza. Clara sembrava essere diventata di colpo favorevole alla tortura, probabilmente, se glielo avesse chiesto, avrebbe anche tenuto fermo il ragazzo.
 – Adesso basta. Io vado a telefonare alla polizia. Non reggo più – sbottò Anita e, preso, il cellulare, si diresse verso l’esterno, dove prendeva meglio.
 E dell’interrogatorio di Massimo se ne lavava le mani meglio di Ponzio Pilato.
 – Non prendermi per fesso. Allora, difficile che abbiate fatto colpo in così poco tempo sulle raffinate parigine. Per cui o erano altre ragazzine in gita…
 Sguardo strafottente. Non erano altre ragazzine in gita. Per fortuna?
 – Allora… Soldi non ti mancano, parli francese… Prostitute?  
 Così giovane e già così poco buon gusto?
 – Guardi che adesso si dice escort.
 – Certo, escort. Idiota, invece, continua a dirsi idiota. Va’ avanti.
 Massimo si strinse nelle spalle.
 – Sono un buon amico, io. L’ho fatto per Livio. Non l’aveva mai fatto, capisce? Ma è un prete, non può capire. L’ho trovata su internet e le ho dato appuntamento al pub.
 – Hai organizzato tutto da casa?
 – Don, guardi che siamo nel 2015, c’ho l’iphone, vado in internet quando voglio.
 Intanto Anita era tornata. 
 – Il commissariato della zona del pub non sa niente. Devo chiamare il consolato per farmi aiutare?
 – Aspetta. Vieni qui, che la storia si fa appassionate. Anzi, fai che requisirgli l’iphone, sono sicuro che ci troviamo cose interessanti.
 – Ehi, non potete…
 – Stai tranquillo che me ne assumo io la colpa con i tuoi, vai avanti.
 – La tipa si chiama Amelie, come quella del film, ma più topa, se sa cosa intendo. Ci ha portato a casa sua con la macchina.
 – Casa che sta?
 – E che ne so? Dall’altra parte del fiume. Per tornare qui ci ho messo tre ore.
 Dall’altra parte del fiume. Questo escludeva giusto metà della città.
 – Vai avanti.
 – Amelie voleva fare con noi due insieme. In realtà abbiamo invitato anche gli altri che erano con noi al pub, ma sti’ ricchioni non se la sono sentita. Comunque, Livio era alla prima volta e si vergognava. Così sono andato io per primo, lui ha aspettato in salotto. Secondo me sentiva tutto, da lì, così gli veniva più voglia. Io ho finito per primo e me ne sono tornato indietro. Cosa lo aspettavo a fare? Tanto stavamo in due hotel diversi.
 – E per tornare come hai fatto? Hai chiamato un taxi?
 – Don, siamo nel 2015, c’ho il navigatore e google maps sull’iphone. Sono tornato a piedi.



6 commenti:

  1. Bene, mi piace. Pregevole la lunghezza e l'efficacia dei dialoghi, questo è uno degli aspetti della scrittura che apprezzo molto.

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    1. Ti ringrazio, mi diverto molto a scrivere i dialoghi, sopratutto nei gialli

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  2. Bel racconto, Tenar! Riprovo a inviarti il messaggio, chissà se questa volta va in porto:))

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    1. Messaggio? Il commento però è arrivato ed è stato ben apprezzato!

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  3. Ma Massimo di Cataldo era anche un cantante degli anni della nostra adolescenza o sbaglio?!

    Comunque spietato don Marco col povero Livio quando dice che la sua scomparsa è un bene per l'evoluzione della specie 😂

    In ogni caso Clara e Anita non hanno frugato abbastanza bene, ok i preservativi, ma il tocco di fumo dove lo han nascosto?!😁

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    1. Ecco, sul nome potresti aver ragione,da qualche parte bisogna pur pescare... Livio è il classico alunno che mette a dura prova la pazienza dei prof... Quanto al fumo, c'è un motivo se non è stato trovato.

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