domenica 15 febbraio 2015

Birdman – Visioni


Mettiamo subito le cose in chiaro. Il nuovo film di Inarritu chiede molto allo spettatore. È costruito a misura di uno spettatore ironico e colto, che conosca la grammatica cinematografica holliwoodiana, che riconosca gli attori, abbia famigliarità con la loro storia cinematografica, ma che non disdegni il teatro e che, quando meno, abbia letto Carver.
A fronte di tutte queste richieste, il regista confeziona una sorta di cubo di rubik cinematografico che si può girare, assemblare e interpretare in infiniti modi.

La trama, dopo numerose nomination agli oscar, è nota.
Un attore famoso per aver in passato interpretato un supereroe di successo vuole riabilitare la propria immagine di attore mettendo in scena a New York un proprio adattamento di un racconto di Carver (il celebre Di cosa parliamo quando parliamo d'amore). Il tutto è raccontato con virtuosistici pianosequenza che alternano senza soluzione di continuità scena e fuori scena, i deliri della mente del protagonista e la follia del reale.

L'unica cosa evidente, a film concluso, è che questa pellicola analizza e decostruisce il cinema d'intrattenimento americano, ma non è contro il cinema americano. Inarritu ne conosce e ne utilizza la grammatica, realizzando, tra l'altro, una bellissima sequenza supereroistica con tutti i crismi. Ci mostra i deliri degli attori di teatro, non meno folli e staccati dal mondo di quelli dei blockbuster, solo più coccolati da una critica schizofrenica che applaude solo quando in scena scorre del sangue vero.
Non a caso il film è piaciuto tantissimo proprio ad Hollywood, che, infatti, si prepara a ricoprirlo di oscar.
Detto questo, ognuno può vederci dentro quello che vuole e divertirsi a trovare rimandi e significati, tutti perfettamente giustificati da un testo che è davvero "una macchina per costruire interpretazioni".
Che sia questa, alla fine, l'imprevedibile virtù dell'ignoranza? Quella dei molti significati generati e in origine ignorati dal regista stesso?

Affrontato con la giusta disposizione d'animo, Birdman può essere un film gradevolissimo, perché l'ironia lo pervade dalla prima all'ultima inquadratura e alla fine questi attori disperati, attaccati a una fama effimera, che altro non è che un frammento infinitesimale della carta igienica del cosmo, sono irresistibilmente, e tragicamente, divertenti.

Al momento il più bel film dell'anno.

18 commenti:

  1. Non l'ho ancora visto, ma mi ispira molto.
    Rinfrescami la memoria, che oggi sono troppo pigra per googlare: è di Inarritu, vero? :)

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    1. Sì, molto più ironico dei precedenti

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    2. Ma... il nome del regista l'hai aggiunto dopo, o sono io a non averlo visto? @-@ Inizio a pensare di essere un po' rinco!

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  2. Visto il trailer quando siamo stati a vedere The imitation game, il marito ha detto che lo vedrebbe volentieri, in definitiva però noi si va molto meno al cinema di quanto vorremmo in generale. Bacio Sandra

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    1. Merita e se vince anche l'oscar come miglior attore, pur avendo apprezzato molto la performance di The imitation game, non penso proprio che me ne lamenterò.

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  3. "spettatore ironico e colto, che conosca la grammatica cinematografica holliwoodiana, che riconosca gli attori, abbia famigliarità con la loro storia cinematografica, ma che non disdegni il teatro e che, quando meno, abbia letto Carver."

    Bene, mi hai appena detto che non posso vedere quel film :D

    Grammatica cinematografica: che sarebbe?
    Attori e loro storia: zero assoluto o quasi. Non ho letto Carver e il teatro non mi interessa, ma mercoledì andrò a vederlo.

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    1. Poi mi dici come ti è sembrato!
      È un lovoro metacinematografico e metateatrale e quindi presuppone che lo spettatore colga determinati riferimenti.
      Magari, risulta bellissimo e affascinante comunque. La forza del cinema è questa. Io ho letto Carver e ho studiato cinema, quindi l'ho visto in una determinata ottica, nulla vieta che funzioni anche guardato da un'altra.

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    2. Visto ieri sera. Non m'è piaciuto, non è proprio il mio genere. La musica così ossessiva mi risultava fastidiosa, ma qui è questione di gusti musicali.
      La scena supereroistica non era nulla di che, secondo me, e durava alcuni secondi. L'ho trovata anche inutile nel film, così come altri elementi inseriti nel corso della storia.
      Il finale? Cosa significa?
      Magari è colpa delle lacune che ho, come hai evidenziato a inizio post, ma resta il fatto che non sia un genere di film che amo vedere.

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    3. Come scrivevo, questo film è davvero una macchina per costruire interpretazione. Potrei darti dieci risposte sul finale, anche contrastanti, e tutte assolutamente fondate!
      Mi interessava conoscere le tue impressioni proprio per capire se si tratti di un film fruibile da solo, oppure no. Evidentemente no, in quanto meditazione metacinematografica e meteatrale non ha senso staccata dalle opere a cui si riferisce. Non so dirti se questo, per il film, sia un pregio o un difetto.
      PS: la scena superoistica è interessante per il modo in cui è girata e inserita nel pianosequenza. Secondo te è un omaggio o una parodia dei film di super eroi? Da un punto di vista narrativo sembrerebbe una parodia, ma da un punto di vista tecnico non lo è per niente e questo genera ulteriore ambiguità.
      PPS: la musica è ossessiva per forza, essendo nella testa di un personaggio ossessivo.

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    4. Secondo me non è né omaggio né parodia dei film di supereroi. La storia funziona anche se il protagonista avesse avuto una carriera precedente come attore western o porno o thriller e avesse poi deciso di fare teatro.
      Sulla musica hai ragione.

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    5. Ma, non saprei. Secondo me c'è proprio tutto un discorso sul tema del supereroe, sulla necessità di sentirsi speciale, che attraversa tutto il film. Il supereroe non è affatto un accessorio, è un tema portante.

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    6. Comunque prima mi riferivo alla sequenza in sé e al modo in cui è girata, non a tutto il film.

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    7. Ah, non avevo capito :)
      Bella domanda, allora. Potrebbe essere tutte e due, omaggio e parodia...

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  4. Un bel film, "immersivo". Però mi veniva in mente un film per certi versi analogo, "Synecdoche, New York" che mi aveva incantato e convinto ancor più.
    PS Sei andata per caso a Castelletto a vederlo? Io sì, e mi sembrava di essere ancora nel film vagando per le sale...

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    1. Non è così claustrofobico il cinema di Castelletto, dai! Quando sono andata io era nella "dependance", nelle due sale distaccate e più che altro hanno aperto appena prima dell'inizio del film e fuori si gelava...
      "Synecdoche, New Tork" mi manca, lo recupererò.

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    2. Ma io non trovavo claustrofobico il teatro in cui era ambientato il film :) Solo (sarà perchè era la prima volta che andavo in quel cinema) i colori e le luci mi facevano sentire ancora un po' con la camera a mano dentro la mente di Inarritu! Anche io ero nella depandance..che posto strano!

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