venerdì 5 maggio 2023

Parliamo di culle, non di neonati


 Questo è un post che proprio non volevo scrivere. La cui scrittura è probabilmente inutile. Eppure il tentativo è necessario.

Per tre volte il Lombardia nell'ultimo periodo abbiamo avuto neonati trovati nelle culle termiche o comunque lasciati alle forze dell'ordine e un neonato trovato morto. Di questi neonati sappiamo quasi tutto, il peso, l'etnia, lo stato di salute, il colore degli occhi, le parole lasciate per loro dalla madre biologica, il nomee dato loro dalla madre biologica o dal personale ospedaliero. E questo non va bene NON VA BENE. Perdonatemi se da prof salgo in cattedra, del resto è il mio lavoro, e spiego a spiegare il perché. 

Perché non è giusto divulgare i dati dei neonati trovati nelle culle termiche o lasciati dopo parto in anonimato o trovati in altre circostanze?

Per una serie di motivi validi.

1 - Il bambino è un individuo e i dati sensibili di qualsiasi individuo diffusi solo col il consenso suo o del suo tutore o di chi esercita la patria potestà. Se ve lo state chiedendo, il personale ospedaliero non appartiene a queste categorie, il tutore lo stabilisce il giudice ed è preferibilmente una persona con competenze giuridiche. Questo è un principio basilare. Vorremmo che qualcun altro di diverso da noi famigliari diffondesse le foto del nostro neonato prima ancora che i genitori abbiano la possibilità di avvisare i parenti del lieto evento? Ricoverati in ospedale vorremmo che un estraneo diffondesse informazioni sul nostro peso, la qualità del nostro sonno e il nostro stato di salute? Un neonato senza nessuno che ne eserciti la patria podestà è indifeso anche su questi diritti fondamentali.

2 – Tracciabilità. Intorno a questi neonati si è acceso un interesse che non è detto che sia sano. C'è chi ritiene che il bambino dovrebbe essere adottato da loro. C'è chi ritiene che siano stati strappati ingiustamente alla madre. Lo capiamo che esporre dati che li rendono riconoscibili (data di nascita+luogo di nascita+nome) li mette in pericolo ora e in futuro? Lasciamo perdere i casi limite. La tracciabilità non va bene. Non si può crescere con l'etichetta "io sono Enea, quello lasciato nella culla termica". Presto Enea andrà al nido, all'asilo e, mantenendo il nome (non lo manterrà), con quella data di nascita, sarà facile ricordare che è proprio quel bambino. Tra tre anni lui sarà all'asilo e la nonna benintenzionata della compagna all'uscita potrà uscirsene con "ma alla fine la tua vera mamma è tornata?". Pensate che non possa accadere? Siete ingenui. Pensate che comunque lui sia piccolo e non possa capire? Mia figlia a tre anni in una chiesa mi ha chiesto di spiegarle cos'è il Diritto d'Asilo (aveva visto mesi prima Il gobbo di Notre Dame). Infine, queste notizie sono ormai sul web. A che età può venire la curiosità di controllare cosa è successo il giorno in cui si è nati? A sette, otto anni? Sei? Che effetto fa trovarsi sommersi da una massa di articoli sulla propria nascita, sbattuti in prima pagina? (I bambini non dovrebbero avere accesso al web è un'altra bella favola che non comprende nonni, amici più grandi, cuginetti più grandi, baby sitter disperate e altre casistiche).

Perché non è giusto divulgare le lettere lasciate dalle madri biologiche?

Perché quelle parole sono forse l'unica cosa che questi bambini avranno della loro madre biologica. Vi sembra giusto che migliaia di persone le abbiano lette prima di loro su un giornale? Voi vorreste leggere dopo migliaia di persone le ultime parole per voi pronunciate da uno di vostri genitori? Davvero? 

Il fatto che siano state lasciate delle lettere vuol dire che la madre biologica vuole ripensarci? Non lo so. È l'autorità giudiziaria che deve indagare, non l'Ezio Greggio della situazione non un appello in prima serata. Vi assicuro che non è così raro che una donna che non voglia crescere il figlio che ha partorito (possibilità garantita dalla legge) lasci qualcosa. Sta al giudice decidere cosa farne e di solito le scelte sono due. Creare un fascicolo segretato in tribunale a cui l'(ex)bambino accederà al compimento dei 25 anni (se vorrà). Oppure affidare quelle parole ai genitori adottivi, che le passeranno al figlio nei tempi e nei modi che riterranno più opportuno. Non so e non sta a me sapere cosa porti a una decisione o all'altra. Ma so che la può prendere solo il giudici (in dei tempi, quindi, che sono più lenti di quelli giornalistici) e che le parole di una madre biologica che sta rinunciando alla propria potestà genitoriale non devono essere lette da chiunque.

Ma la madre biologica può ripensarci?

Sì, ha venti giorni di tempo. Dopo di che il bambino viene dichiarato adottabile. Esiste un'ulteriore tempo entro cui altri parenti possono farsi vivi, dopo di che l'adozione diventa definitiva. Molti tribunali scelgono di far stare il bambino in ospedale, comunque accudito, per i venti giorni, altri di affidarlo subito a una coppia. In alcuni casi la coppia è già quella che diventerà la famiglia adottiva, in altri casi è una coppia che ha dato apposita disponibilità per essere "famiglia ponte" e aiutare il tribunale in queste situazioni (si tratta di famiglie ben consapevoli del loro ruolo, che hanno dato una specifica disponibilità ad affidi brevissimi).

Ho letto che il tribunale ha imposto di cambiare il nome a Enea. Non è ingiusto?

Sì, ma è il male minore. Intorno a questo bambino si è creato un interesse morboso e per proteggerlo è bene spostarlo lontano da Milano e cambiargli il nome. Se il suo nome non fosse stato divulgato non sarebbe stato cambiato e al giusto momento avrebbe saputo che chi l'ha messo al mondo l'ha pensato con quel nome.

Questi articoli almeno servono a diffondere la conoscenza delle culle termiche...

Certo, ma allora parliamo di culle, non di neonati. La culla però attira meno like.

È importante che si sappia delle culle termiche...

Sì, ma è ancora più importante sapere che si può partorire in anonimato in ospedale. Senza rischi, con assistenza medica per sé e per il neonato. Mi sembra meglio. La culla termica è l'estrema razio, deve esistere ed è giusto che si sappia. Ma ci sono altre possibilità. Nessuna donna deve essere obbligata ad essere madre e pertanto deve poter partorire in sicurezza.

Ma almeno questi bambini avranno una famiglia?

Sì, grazie al cielo. Una famiglia che i servizi sociali hanno formato, con, si spera, un supporto psicologico ad hoc per loro e per il bambino. E se la madre biologica si rifacesse viva interranno i servizi sociali per capire cos'è meglio per il bambino.

E quindi come ne devo parlare di questi eventi?

Come ti pare, ma ricordando che i bambini sono individui.

giovedì 27 aprile 2023

Eppure soffia...




È un mese e mezzo che non scrivo nulla qui.

Non scrivo nulla.

Ho ripreso a leggere solo il 25 aprile (giorno della liberazione, anche dal mio stato di analfabetismo transitorio!).

Succede, succedono periodi così, sono ciclici nella vita di tutti. Negli ultimi 12 mesi mio padre ha trascorso 8 settimane, non consecutive, in ospedale. Mia mamma ha avuto un aggravamento nel suo stato di salute, ma le persone che la assistono hanno avuto anche loro la propria dose di guai. E sì, abbiamo pensato che in effetti la casa dove vivono i miei genitori sia maledetta e siamo anche giunti alla conclusione che la cosa non è così assurda. La eressero i miei bisnonni. La bisnonna morì lì a poco di spagnola e il bisnonno andò incontro a un tracollo finanziario. Poi la maledizione deve aver saltato una generazione per ripresentarsi adesso. E sì, ho sentito uno storico, anzi è lui che ha sentito me, indovinate un po'? La casa dovrebbe sorgere proprio su una necropoli romana e il mio bisnonno, in effetti, rinvenne delle monete che potrebbero essere state un'offerta funebre. Il non tanto caro estinto potrebbe essersela un po' presa...

Umorismo nero a parte, il fatto è che non ho molto tempo libero a disposizione, quando non sono al lavoro per lo più faccio l'autista, dato che sono figlia unica e devo portare due genitori a fare visite mediche, spese e commissioni e una figlia a praticare sport. Guidando non si può né leggere né scrivere. Si potrebbero ascoltare audiolibri, ma raramente in questi miei andirivieni sono sola. Il tempo scarseggia. C'è anche da dire che questo periodo non è arrivato nella mia vita senza avvisaglie. Fino all'autunno ho lavorato a uno scritto, ma sapevo che per il resto dell'anno scolastico non avrei più scritto una frase che non fosse in un verbale. Questi periodi capitano più o meno a tutti e non ha senso crucciarsene più di tanto. Sopratutto non ha senso crucciarsi per il non scrivere.

Perché le parole sono strane. Una volta che sono impresse, ormai non più su carta ma su file, non sono più di chi le scrive. Sono affidate al vento. Che soffia e fa giri strani. Una delle tante cose improbabili che mi è capitata negli ultimi mesi è stato il ritrovamento da parte dello zio di mio marito di una busta attaccata a un palloncino. L'ha trovata impigliata nel recinto dei suoi asinelli. Conteneva una lettera scritta da dei bambini di una scuola dell'infanzia lombarda scritta in occasione di Sant'Antonio con una richiesta di protezione per i loro animali domestici. Ed è arrivata dove abitano quattro asinelli. Lo zio l'ha portata a mia figlia, che l'ha portata a scuola dove con i compagni ha scritto a sua volta una lettera ai bambini della prima (affidata alle poste, non al vento, quindi a un sistema meno efficiente). Le parole sono così, volano e arrivano in luoghi inaspettati, in momenti inaspettati.

È capitato così che proprio in questo periodo di non lettura e non scrittura mi sia arrivata una mail. Una mail da parte di una collana di una casa editrice a cui io non avevo mandato nulla in tempi recenti (intesa questa parola anche in gergo editoriale, dove recente è a volte un concetto relativo). Avevo mandato tantissimo tempo fa un romanzo altrove, dove era stato letto e non dimenticato. E poi una persona che lo aveva letto è diventata collaboratrice della casa editrice. E poi... E poi... E poi... Ancora la fine della storia non la so. Ma so che nel modo più inaspettato mi è arrivata una proposta di contratto. E... E chi vivrà vedrà, perché la pubblicazione non è imminente. È in programma in un futuro editorialmente prossimo (parliamo di più di sei mesi e quindi il mondo potrebbe essere diverso, potrebbero averci invaso gli alieni, essere caduto un asteroide o chessò io) e quindi non ha senso parlarne ora più di quel tanto. Diciamo che è una pubblicazione piccola in una casa editrice grossa.

E poi c'è l'ultima cosa che ho affidato al vento. In cui in pratica ho fatto tutto ciò che non bisogna fare in un romanzo se si vuole sperare di pubblicarlo davvero. La cosa a cui avevo lavorato prima, il romanzo per ragazzi che è stato preso in considerazione, ma non scelto, da Salani, l'avevo scritto un po' con il manuale in mano. Questa volta ho seguito solo il cuore. È una storia che mi porto dietro da anni, nata come gioco, coccolata come passatempo, senza mai pensare che potesse avere un futuro editoriale. È stata scritta per amore dei personaggi e della vicenda che mi raccontavano, a pezzi e a bocconi, in modi e tempi diversi. Quest'estate, mentre aspettavo il responso da Salani, ho deciso che l'avrei coccolata ancora un po', ma sempre senza una vera ottica "editoriale". Neppure ora penso davvero che possa essere pubblicata. Anzi, mi vengono in mente almeno cinque validi motivi per non farlo. Per il momento, comunque, il vento l'ha portata qui.



lunedì 13 marzo 2023

È giusto leggere libri scritti da "brutte persone"?


 Mi piace il blog, nonostante tutto, perché mi permette la riflessione lenta, dilazionata nel tempo. Qualcosa di molto diverso dal frenetico botta e risposta dei social. Immediati, veloci, dove in un attimo ci si infiamma e, quasi sempre, ci si arrocca su posizioni che il confronto serve a radicalizzare piuttosto che a mutare.
Nell'ultimo post la riflessione sulla modifica ai testi di Dahl ha portato nei commenti tutta una serie di riflessioni e diramazioni di dibattito di cui vi sono estremamente grata. E da quel fluire di discussioni mi è sorta un'altra domanda: è giusto leggere libri di autori dalle opinioni discutibili, disturbanti o, peggio ancora, ai limiti del reato?

Io oggi fatico a immaginare una grande casa editrice che faccia in grande stile il lancio di un autore che sia apertamente antisemita, razzista fino a incitare all'odio razziale, sessista fino a teorizzare la totale sottomissione della donna. E, sinceramente mi va benissimo così. Sarei in imbarazzo ad acquistare il libro di un autore che inneggia al ritorno del nazismo e se per caso mi dovesse piacere proverei un po' di disgusto per me stessa.

Però... Però...

Ho appena terminato questo libro:

Mary Renault, per me, è la miglior scrittrice di romanzi storici ambientati nell'antica Grecia. Questo, Fuoco dal cielo, non è il suo più riuscito, a mio parere, ma Le ultime gocce di vino e La maschera di Apollo stanno nel mio olimpo personale. Non vedo l'ora di intaccare Il ragazzo persiano di cui ho sempre sentito un gran bene. Leggendo pigramente la quarta di copertina non posso non notare che l'autrice si è stabilita in sud Africa nel 1948 e vi è rimasta fino alla morte. Ci sono ragioni comprensibili per questa sua scelta, dato che voleva vivere in pace con la propria compagna in un momento in cui in Inghilterra non era ancora possibile. Ma è un fatto che lei abbia vissuto per decenni nel Sud Africa dell'apartheid. E su questo io (il mio approfondimento, lo ammetto, è molto superficiale) ho trovato solo una dichiarazione molto blanda in cui dice che l'apartheid ha avuto un impatto scarso nella sua vita e non ne ha mai tratto vantaggio. Ai miei occhi l'aver scelto di vivere proprio nel paese dell'apartheid avendo un sacco di altri posti dove andare mi fa sospettare che il razzismo non fosse poi un pensiero così lontano dal suo. E niente, comunque non vedo l'ora di iniziare Il ragazzo persiano.
Passiamo ora a ciò che sto ascoltando. L'abbonamento ad audible si è rivelata per me una scelta felice. Ha dato un altro fascino alle faccende di casa, sopratutto al continuo stendere, piegare, ritirare i panni. Audible mi permette di spaziare secondo l'estro dei miei gusti ondivaghi, la mia curiosità per tutto. Ci ho ascoltato classiconi (ho appena finito Grandi Speranze), libri per ragazzi, saggi di botanica e biografie di alpinisti. Se non mi piace posso cambiare in pochi rapidi click. Oggi ho iniziato un racconto lungo di Lovecraft. Basta un rapido giro su wikipedia per constatare che l'autore era razzista, antisemita e simpatizzante del fascismo. Troverei abbastanza difficile tollerare una discussione con il signor Lovecraft. Ma è un fatto che il suo racconto non mi dispiaccia affatto.

Vivo quindi questa idiosincrasia personale. Non acquisto e non leggo autori viventi il cui pensiero mi sia noto e mi risulti particolarmente disturbante e invece lo faccio senza troppi problemi con gli autori ormai morti. Non pretendo che ci sia un agire morale in questo, è solo una questione di disagio personale. E anche questa distinzione è molto sfumata e non trovo una bussola morale che mi guidi. Nella mia adolescente un'autrice di libri di consumo che mi ha affascinato è stata Marion Zimmer Bradley. Mi ha affascinato per l'evidente ambiguità morale di alcuni suoi personaggi e di alcune situazioni raccontate. Erano disturbanti e, pertanto, interessanti. Ricordo in particolare un ragazzino abusato da un adulto che per varie ragioni era intoccabile. Più avanti il ragazzino e l'adulto in questione si trovano per forza di cose a collaborare. Ne usciva il ritratto di un uomo contorto, pericoloso eppure sofferente e umano, difficile da incasellare come come totalmente negativo. Alla fine si sacrificava per gli altri. Uscì, anni dopo, che il marito dell'autrice era implicato in un bruttissimo giro di pedofilia e che lei probabilmente sapeva e lo aveva protetto. Alla luce di questo retroscena i suoi libri appaiono ancora più ambigui e disturbanti. Però fatico comunque a non dedicare loro neppure un po' di affetto.

Alla fine ho riflessioni, non verità da offrire. In un mondo ideale i libri dovrebbero essere pubblicati tutti con pseudonimi. Esistere come opera pura, del tutto staccati dal proprio autore. Del resto il tempo agisce proprio così, lava via sempre più la presa dell'autore sull'opera e libera il testo. Certo, ci sono sempre doverosi studi che spiegano perché proprio quell'autore in quel dato tempo abbia scritto quelle parole. Ma l'opera ne è sempre più svincolata. Se Dante fosse o no un usuraio, se avesse o no sottratto del denaro pubblico era una questione molto importante per i fiorentini del suo tempo. Lo è molto meno per noi. Possiamo serenamente leggere la Commedia senza chiederci se tutte le accuse che hanno portato Dante all'esilio fossero false. Le opere che più stridono con la nostra sensibilià odierna si mettono in qualche modo fuori gioco da sole. Non presenterei ai miei alunni come lettura di piacere (ben contestualizzata è un altro discorso) Il fardello dell'uomo bianco di Kipling, ma trovo un'idiozia non proporre Il libro della giungla. 

Idealmente, ogni libro dovrebbe essere spiegato solo con se stesso e appartenere a un autore ignoto. Perché è un fatto che brutte persone abbiano scritto libri bellissimi. Però quando la "brutta persona" è più vicina a noi a livello temporale o geografico è più difficile o mi è più difficile ignorare la biografia dell'autore.

Credo che continuerò a comportarmi come sempre. Se l'autore è vivente ed è noto per idee che mi risultano particolarmente disturbanti non so se acquisterò un suo libro, sopratutto per non foraggiarlo. Se è morto mi porrò assai meno problemi, come del resto ho sempre fatto. Insomma, ho ragionato, ma non ho concluso niente.
Voi come vi ponete di fronte ai libri scritti da brutte persone?

domenica 26 febbraio 2023

Parole mobili e parole inamovibili - La mia opinione sul caso delle correzioni a Roald Dahl


 Mi inserisco di nuovo a gamba tesa in una polemica in corso per esporre la mia ininfluente opinione.
Il caso è questo. Le nuove edizione alle opere per ragazzi di Roald Dahl, il famoso autore de La fabbrica di cioccolato conterranno delle modifiche linguistiche (non ci saranno parole come "grasso", "brutto" o "nano") e, almeno in un caso, contenutistiche. La protagonista del libro Matilda, ad esempio, da oggi in poi leggerà Jane Austen e non autori maschi in odore di colonialismo.
La scelta è motivata dal fatto che Dahl è sì un eccezionale scrittore per bambini e ragazzi, ma non sempre politicamente corretto, anzi, per dirla tutta alcune sue opinioni erano del tutto censurabili. Si vuole quindi proporre ai ragazzi di oggi testi che non usino difetti fisici come spregiativi e portino messaggi positivi e più inclusivi.
La polemica è scattata per due motivi. I cambiamenti sono stati fatti sugli originali e non su edizioni ridotte, adattate o tradotte. Inoltre le nuove versioni saranno a breve le uniche in commercio. In altre parole la nuova versione sostituirà del tutto quella vecchia e non sarà possibile recuperare i testi originali.

Menti migliori della mia hanno già affrontato la questione in lungo o in largo e, tuttavia, mi sembra che le varie argomentazioni proposte abbiano mancato un punto.
Ho cercato di guardare la questione da un'angolazione leggermente diversa.
Il punto per me non è che queste modifiche sono state fatte. Testi ridotti e adattati sono sempre esistiti. Da ragazzina tutti i Dumas che ho letto erano in versione ridotta e adattata. Nessuno sano di mente darebbe i Tre Moschettieri in versione integrale a una bambina di nove anni. Più avanti ho avuto accesso agli originali e infine ho avuto in mano anche la versione in francese. La cosa inquietante è che le modifiche sostituiscono del tutto l'originale. Mettiamo il caso le vecchie edizioni pian piano spariscano. La nuova versione sarà l'unica nota. Matilda avrà letto sempre e solo Jan Austen. Se da un lato mi intriga la visione di un filologo del futuro che ricostruisce il testo de La fabbrica di cioccolato come si fa con un'opera parziale di Aristotele, dall'altro mi inquieta.

In quali casi un'opera viene modificata in via definitiva senza il consenso dell'autore?
Nel campo delle arti figurative gli esempi non mancano. Basti pensare alle famose foglie di fico che di fatto tante opere le hanno salvate, rendendole tollerabili. 
Ma in letteratura?
Nessuno, mai, modificherebbe in via definiti Dante o Manzoni. 
Qualcuno potrebbe obiettare che Dante o Manzoni si riferiscono a un pubblico adulto, che a quindi più strumenti per contestualizzare l'opera.
Io rispondo che forse c'è un altro motivo. Dante o Manzoni sono considerati letteratura. I loro libri hanno un valore estetico. Pertanto le parole che li compongono sono inamovibili. Possono essere tradotti, ovviamente, adattati e ridotti, ma non modificati in originale
E Dahl?
Beh, Dahl scrive per bambini, suvvia. Non importa che La fabbrica del cioccolato sia in giro dal 1964, costantemente edita e letta, mentre un sacco di romanzi vincitori di importanti riconoscimenti siano stati nel mentre del tutto dimenticati. Che valore estetico potranno mai avere le sue parole? Insomma, non è proprio letteratura.
Se fatichiamo a riconoscere una validità letteraria e quindi estetica alla letteratura di genere, alla fantascienza, al giallo, vorremo mica porci il problema per la letteratura per l'infanzia.
Perché è evidente: se un libro è considerato letteratura, le parole con cui è stato scritto sono importanti. Anche quando solo disturbanti. Anche quando sono palesemente obsolete. A volte gli si mette a fianco la versione in lingua moderna. Ma si continua a proporre l'originale per il suo valore estetico.
Se una parola è interscambiabile con un'altra allora non ha alcun valore artistico. A Dahl si riconosce l'intuizione del buon artigiano, dell'onesto intrattenitore che viene quindi adattato al gusto corrente. Non è, però, uno scrittore.
È questo l'aspetto che più di ogni altro mi amareggia in questa vicenda.

Se scrivi per ragazzi non fai letteratura, neppure se sei Roald Dahl.

domenica 19 febbraio 2023

Storie naturali - Letture


 A metà febbraio è arrivata la prima folgorazione letteraria del 2023: Storie Naturali di Primo Levi.

Insegno alle medie, è ovvio che io abbia letto Primo Levi. Ogni anno leggo in classi passi da Se questo è un uomo, La tregua e I sommersi e i salvati. Ogni anno convinco un certo numero di miei alunni ad abbandonare gli ultimi scampoli della loro innocenza pre adolescenziale sulla lettura integrale di Se questo è un uomo. E ogni anno penso che Primo Levi sia stato un grande scrittore prima ancora che un grande testimone, perché la sua penna scava, scarnifica, entra dentro di noi mettendoci di fronte all'orrore del nazismo e dei campi di concentramento. E tuttavia, come moltissima altra gente, pare, non mi ero messa a cerca i libri in cui Primo Levi è solo scrittore. Male, molto male.

Questa nuova edizione è corredata da una lunga (troppo) prefazione che alla fine cerca di dire "siccome Primo Levi è un grande scrittore, la sua fantascienza non è fantascienza". Perché siamo in Italia e si sa, da noi fantascienza è una brutta parola. Infatti si premurano di ricordarci che la prima edizione di questo libro è uscita sotto pseudonimo e con una fascetta che recitava: "fantascienza?".
La risposa avrebbe dovuto essere: "Fantascienza!". Dovremmo andarne fieri e i racconti dovrebbero essere inseriti in tutte le antologie scolastiche. Invece non ne ho mai trovato neppure uno.

Si tratta, quindi, di racconti di fantascienza, brevi e folgoranti che prendono spunto, appunto, dalle scienze naturali. Racconti ambientati, quasi tutti, in un futuro quasi prossimo, all'apparenza rassicurante, in cui però si insinua l'angoscia.
Si scopre quindi che le tenie hanno una loro sorta di letteratura. Loro, parassiti umani, percepiscono il corpo ospite come un universo/divinità. Qualcuna quasi ne intuisce la natura vivente e vorrebbe comunicare con l'essere umano che la ospita. Ma sono parassiti e come tali espulsi e rifiutati.
Oppure un lichene può incidentalmente rivelare che le automobili hanno un sesso e quindi, presumibilmente, un io, e chissà, forse sono loro a causare almeno alcuni degli incidenti.

Come sempre accade, il vissuto e il dramma umano dell'autore si insinua nella storie, quasi come fumo che penetri pian piano da sotto una porta. Molti dei racconti sono ambientati in futuro prossimo, apparentemente rassicurante, popolato da persone dai nomi tedeschi. È in questo mondo che vengono commercializzati i mirabolanti brevetti della NATCA, subito distorti in usi meschini. Quindi una sorta di stampante 3D in grado di replicare qualsiasi cosa viene immediatamente utilizzata per produrre diamanti e poi per duplicare la propria moglie. E sono abbastanza sicura che sì, se si riuscisse davvero a parlare e a contrattare con gli animali, uno dei primi usi sarebbe il contrabbando di droga. 
A volte, però, le cose si fanno ancora più inquietanti. Non sarebbe bellissimo convertire il dolore in piacere? La visione che ce ne dà Levi è orrorifica ed è fin troppo facile immaginare in un contesto preciso esperimenti simili, con un fine preciso. In questi racconti, tuttavia, le semplici meschinità umane, in primis l'avidità, in qualche modo sembrano sventare sul nascere qualsiasi piano su grande scala.

Qua e là appaiono racconti più leggeri e divertenti, su tutti quello del comitato preposto alla creazione dell'uomo. Una riunione di stampo aziendale di emissari divini alle prese con l'arduo compito di costruire un essere superiore, che qualcuno vuole insetto, qualcuno rettile e qualcuno acquatico. Alla fine l'uomo dovrebbe essere un uccello, volante, quindi privo del concetto stesso di frontiera, influenzato dalla sessualità solo per brevi periodi all'anno, ma paritario nella gestione della prole e del nido. Quando la scelta sembra fatta, ecco che arriva la notizia che, all'insaputa di tutti, l'uomo è già stato creato. Resta il dubbio che l'uomo uccello (a me piaceva anche il progetto con i serpenti filosofi) potesse essere migliore...

Da un punto meramente stilistico, i racconti non sono invecchiati di un giorno. La prosa scorre e solo di tanto in tanto, quando in effetti ci si rende conto di avere in casa qualche ritrovato NATCA, ci si rende conto che in effetti questa raccolta è stata pubblicata nel 1966 e contiene racconti ancora più vecchi. Poco male, sta attraversando gli anni con ancora più grazia della donna in criostasi di uno dei racconti più ironici.

L'unica cosa che non si spiega è perché, appunto, questi racconti non siano in tutte le antologie scolastiche a dare pubblica dimostrazione di quanto versatile sia la prosa di Primo Levi, di quanto sia Autore e non solo (importantissimo) testimone. 

Recuperatelo e leggetelo!

mercoledì 1 febbraio 2023

Spare, il minore – letture

(la macchia scura a fianco è il persiano, finalmente
guarito dalla dermatite allergica)

 
A volte i libri più improbabili sono le giuste compagnie nei momenti più improbabili. Nei primi giorni di covid, quando anche volendo non potevo fare molto di più che stare a letto, Spare, la discussa "non proprio autobiografia" del principe Harry è stato una buona fonte di intrattenimento e argomento di discussione via cellulare col marito.

Ho comprato Spare principalmente per il suo non essere del tutto un'autobiografia. La penna che da voce al principe Harry, l'uomo che si compiace di dire di aver terminato un solo libro nella sua vita, è J.R.Moehringer, la penna dietro alla (non) autobiografia di Agassi Open (e sospetto anche dietro ad altre autobiografie). Un signor scrittore in grado di rendere universali eventi prettamente personali, con una capacità di analisi della psiche umana davvero invidiabile. Insomma, dovendo mettere per iscritto la sua vita, Harry si è rivolto al migliore sulla piazza. Un punto per lui. E poi, al netto del pettegolezzo, Harry è quasi mio coetaneo, ha quattro anni meno di me. Mi intrigava non poco l'idea di vedere gli eventi degli ultimi decenni con gli occhi di un coetaneo ma da un'angolazione unica. Possiamo dirci quel che vogliamo sulla monarchia britannica, può non interessarci il pettegolezzo, ma sfido chiunque a dire che quello di un principe non sia un punto di vista sul mondo particolare, per non dire unico.

Ebbene, cosa emerge da Spare?
Innanzi tutto in me è emerso un dubbio. Non so dire quanto Moehringer abbia accentuato, se lo abbia fatto, alcuni tratti, ma spesso mi sono chiesta se Harry abbia davvero approvato, abbia riletto il libro che ne è uscito (come per certi alunni prima che consegnino la verifica. "Sei sicuro? È proprio quello che volevi scrivere?").
Il ritratto che ne esce è di un uomo profondamente irrisolto, fermo emotivamente a quando aveva dodici anni, alla morte della madre. Diana aleggia in maniera ossessiva dalla prima all'ultima pagina. Un fantasma senza forma, perché per sua stessa ammissione Harry ha rimosso i ricordi autentici che ha di lei. Ma questa mancanza, questo lutto non elaborato si mangia pian piano tutto. L'ambiente famigliare che Harry delinea è, come facile immaginare, piuttosto freddo e poco incline all'empatia, ma non drammaticamente distaccato. Il contrasto emerge e si fa insanabile in una mancanza di empatia bidirezionale. La famiglia non capisce lo stato d'animo di Harry che doveva essere mandato in terapia per direttissima subito dopo il lutto, non anni e anni dopo, dopo uno stratificarsi di comportamenti disfunzionali e autodistruttivi. Ma anche Harry non capisce la capacità dei membri della sua famiglia di andare oltre, di adattarsi allo status quo e di accettare un ruolo che non hanno scelto, sicuramente a tratti scomodo, ma in qualche modo ineluttabile. Qui c'è forse la prima e la più grande contraddizione del libro. 500 pagine per raccontarsi come uomo, per non farsi vedere come principe, per fuggire al suo ruolo di principe. Firmato "principe Harry".

Il grande nemico di Harry sono i media. Ecco credo che questa sia la parte forse più profonda della vicenda, perché davvero noi non possiamo sapere quanto peso abbiano sulla vita dei reali. Per Harry sono loro gli assassini della madre (suppongo sia anche vero, se le indagini hanno stabilito che la principessa fuggiva da un inseguimento). Di certo i giornali lo hanno braccato dal primo giorno della sua vita e gli hanno mostrato il corpo della madre agonizzante, hanno reso difficile ogni giorno della sua vita. Nulla da stupirsi se i momenti migliori Harry li ha trascorsi nel cuore dell'Africa, nel delta dell'Okavango, luogo per cui si percepisce un amore autentico, fatto di desiderio di preservare la natura, ma anche di assenza di stampa. Quello che davvero Harry non perdona alla sua famiglia è di essere venuti a patti con la stampa, aver accettato l'esistenza dei giornalisti, aver imparato a gestirli e persino a indirizzarli. La sua è una posizione umanamente comprensibile, ma realisticamente irrealizzabile. E, da fuori, posso capire l'insofferenza dei suoi famigliari, proprio quanto la salute di Elisabetta declinava, una pandemia mondiale scuoteva il globo, per il suo pretendere una vita reale, sì, ma senza stampa. Al netto di questo va dato atto ad Harry che il comportamento di molti giornalisti è inqualificabile, forse chiunque di noi sarebbe sbroccato, chissà...

Alla fine l'impressione che mi sono fatta di Harry è di una persona genuinamente di buon cuore, che si appassiona facilmente a cause che può comprendere e si fa in quattro per ciò che crede, ma che ha la maturità di certi miei alunni di terza media.
I guai che si caccia sembrano la versione amplificata all'ennesima potenza di quelli in cui potrebbero cacciarsi i più immaturi dei miei studenti in gita. È ovvio che c'è del patologico in questo, una sorta di spirale autodistruttiva "odio la stampa - mi metto in condizione da far uscire le peggio notizie su di me -odio ancor di più la stampa", ma è difficile per me non immaginarmelo in versione alunno in gita.
"Prof... Per quella festa in maschera era rimasto un solo costume e quindi l'ho preso... In effetti da nazista forse non era il caso... Ma io non pensavo, prof..."
"Prof... Sa in questa settimana sulla neve... Forse sciare in jeans leggeri non è stata una grande idea... Prof, mi brucia proprio lì sotto, cosa faccio?"
"Prof... Ma insomma eravamo solo noi in camera, e va beh, quelli dell'altra scuola che abbiamo conosciuto ieri... Va bene, giravo nudo, chi avrebbe immaginato che poi mettessero le mie foto in rete..."
"Prof... Ma non è che l'ho fatto per offendere, lei sa che non sono razzista, mi è uscito di chiamarlo così, è solo che stavano riprendendo proprio in quel momento..."
"Prof... Sa quella cosa di non accettare cioccolatini dagli sconosciuti? Ecco, in effetti potrei aver assunto qualcosa..."
Il problema è che in nessuna di queste occasioni (raccontate da lui medesimo!) Harry aveva quattordici anni. Per carità per chi non ha a che fare ogni giorno con quattordicenni che si comportano così può anche risultare un simpatico cazzone. Ma del tutto inadatto al proprio ruolo. Che non ha scelto, per carità, però...
Il risultato è che si ride parecchio, ma di lui, povero Harry, che beve come una spugna (questa cosa passa quasi in sottotraccia, come se non fosse di per se un problema), prova una quantità imbarazzante di droghe, per lo più in situazioni poco opportune e non ne azzecca una giusta.
Fa simpatia perché non è mai malevolo e non danneggia mai altri che se stesso, però...

Il tutto è raccontato, come ci si aspettava, con maestria. Non c'è la profondità di Open e forse è anche mancata la sintonia giusta tra narratore e penna, chissà. A volte certe frasi troppo perfette stridono proprio con la faciloneria di Harry. Probabilmente non è l'opera di cui Moehringer andrà più fiero (anche se immagino che ne abbia ricavato valangate di denaro) ma è comunque un libro scritto da chi le parole le sa usare. Se poi la persona che viene raccontata sia o non sia degna di lettura, beh, questo sta a ogni lettore deciderlo.
Io, lo ammetto, mi sono divertita.                                       

domenica 15 gennaio 2023

Di mamme finlandesi e scuole italiane


 Vi regalo la vista magica del mio lago, scorto dall'alto di una montagna innevata e le mie inutili considerazioni sulla polemica che ha tenuto banco nelle ultime settimane nel mondo della scuola e non solo.

Riassunto delle puntate precedenti, per chi fosse riuscito a non sentirne niente. Una famigliola finlandese si trasferisce in Sicilia, ma dopo due mesi scappa. La colpa? La totale disorganizzazione della scuola, dove regna il caos, gli insegnanti non sanno fare il loro lavoro (l'insegnante di inglese ne sa meno del figlio!) e i bambini sono costretti a lunghe inutili ore senza pause. Il tutto è stato esposto con dovizia di particolari in una lettera mandata ai giornali in cui la signora sfoga tutto il suo disappunto.

La missiva, inutile nasconderlo, trasudano spocchia e antipatia. Dopo due mesi di permanenza in una singola città, con l'esperienza quindi di singole classi, la signora ritiene di poter dare lezioni al sistema scolastico italiano nel suo insieme mescolando problemi che poca attinenza hanno l'uno con l'altro (il giardino della scuola non è abbastanza curato e l'insegnante di inglese è impreparato!). Questa spocchia permette a tutti noi che la scuola la viviamo ogni giorno di scrollare le spalle, ringraziare in cuor nostro di non aver avuto il piacere di interagire di persona con una cotale genitrice, e continuare a fare come abbiamo sempre fatto.

Al di là del tono saccente di Colei Che è Arrivata a Portare la Civiltà a noi selvaggi, ci sono però alcune considerazioni che si potrebbero fare. Anche Miss Antipatia, dopo tutto, può dare qualche spunto sensato.

Alcune delle sue osservazioni non meritano molto di più che una scrollata di spalle. Le scuole italiane sono vecchie. Gli arredi del cortile (di quel cortile) non sono all'altezza degli standard nordici. Ma nooo? Chi lo avrebbe mai detto? Non ci siamo davvero mai accorti dello stato pietoso dell'edilizia scolastica, anzi ci diverte rischiare la vita ogni giorni. Stessa cosa riguardo al professore incapace. Al singolo professore incapace che le fa gridare orripilata che gli insegnanti italiani sono capre. Signora mia, buongiorno, benvenuta in Italia, uno dei paesi in cui si spende meno per l'istruzione e che ha metodi di arruolamento dei docenti tra i più cavillosi al mondo. Senza di lei non mi sarei mai accorta delle criticità del sistema in cui lavoro...

Ci sono due punti, però, nella sua lettera, che meritano qualche istante in più di riflessione.
Il primo più che la scuola riguarda la cultura generale, l'organizzazione e la sicurezza delle città. Ogni mattina davanti a ogni scuola, in qualsiasi posto in Italia, si crea un ingorgo creato dai genitori che accompagnano i pargoli in auto. E questo non avviene, o avviene molto meno nel resto d'Europa. Non si tratta di qualcosa di irrisolvibile, che necessiterebbe investimenti stratosferici. Basterebbe un'organizzazione diversa e, sopratutto, una cultura per cui è normale che i bambini possano andare a scuola, persino quando piove, con il pulmino o addirittura a piedi.

L'altro appunto interessante, invece, è interno alla dinamica scolastica. La signora lamenta mancanze di pause in cui i bambini possano muoversi. Ecco, su questo singolo punto, mi sento di darle ragione.
Un bambino delle elementari può arrivare a stare seduto oltre quattro ore con una singola pausa a metà mattina. Alle medie arriviamo a sei ore di lezione con un intervallo di dieci minuti. Ossessionati come siamo dalla sicurezza, in molte scuole l'intervallo si fa in classe, spazio che per altro è molto più pericolosi di un corridoio o di un cortile, anche se ci si muove poco, pieno com'è di banchi, sedie, cartelle e cartellette che sembrano create apposta per inciamparci. Se si esce si esce per poco e non si corre. Non si corre, non ci si rincorre, non si gioca. Di prendere un pallone neanche a parlarne, del resto con dieci minuti, anche volendo, ci sarebbe giusto il tempo di fare le squadre. Che si possa arrampicare, saltare, utilizzare qualcosa di simile a un parco giochi sembra addirittura fantascienza,
Eppure non ci vuole un fine pedagogista per capire che i bambini hanno bisogno di muoversi e che è più facile tornare a concentrarsi dopo che si è fatta una pausa che dopo ore piene di lezione.
È una riflessione che sto facendo da qualche anno, in realtà. Complice una classe che ha una grande energia fisica da sfogare e una scuola con ampi spazi esterni, il potere salvifico delle pause all'aperto è qualcosa che sto sperimentando. Sopratutto durante i pomeriggi. Avendo tre ore di lezione finale, un quarto d'ora di pausa all'aperto distruggerà il processo di apprendimento? In realtà no. Si esce chi vuole corre, chi vuole può prendere una palla morbida, gli altri passeggiano e chiacchierano. Ovviamente questo vuol dire che i ragazzi potenzialmente possono farsi male. Probabilmente non so esattamente cosa rischio. Nel triennio precedente ho avuto una classe di ragazzi che si facevano male nei modi più improbabili. Il caso più incomprensibile è stato una frattura scomposta a un gomito avvenuta perché la ragazza ha urtato il passamano mentre scendeva le scale. Ha urtato il passamano. Sotto i miei occhi e quelli di un altro docente. Non è stata spinta, non stava correndo o saltando. Ha semplicemente mosso il braccio. Frattura scomposta. C'è stato anche il trauma cranico con notte in ospedale di quello che si è alzato in piedi per salutare il docente, è inciampato non saprei dire dove ed è caduto all'indietro sbattendo la testa contro il muro. Alzandosi in piedi. Lo stesso ragazzo si è fratturato la caviglia scendendo una scala (diversa da quella del gomito), ma lì io non ho assistito alla scena. Inutile dire che dopo ogni singola lezione di educazione fisica qualcuno aveva bisogno del ghiaccio. Insomma ho fatto una certa esperienza con i moduli di infortunio e ho deciso che se tanto non posso impedire loro di scendere le scale e alzarsi in piedi, allora che escano e almeno si divertano. Posso dire che questo ha portato benefici visibili e meravigliosi alla didattica? No. Ma la pausa del giovedì pomeriggio è un bel momento, vengo informata sulla salute degli animali domestici, sulle letture, invitata a giocare a palla, cosa che ogni volta rifiuto.
Questa però è una classica soluzione all'italiana. La scelta di una singola docente, appoggiata e imitata a macchia di leopardo nella stessa scuola (cosa che non aiuta il senso di fratellanza, perché alcune classi hanno molti più docenti inclini alla pausa in esterno di altre). Bisognerebbe ragionare davvero sui tempi di attenzione e su ciò che si può umanamente chiedere a bambini e pre adolescenti e cosa no. Non so se possa essere davvero applicata l'idea di un quarto d'ora di pausa all'aperto ogni 45 minuti, ma forse è venuto il momento di pensare che anche stare all'aperto 15 minuti, magari ogni due ore, è funzionale all'apprendimento. Se non piove. Perché, cara signora finlandese, siamo comunque italiani. E i bambini italiani (ogni mamma lo sa) sono solubili in acqua piovana. È inutile che cerchi di convincerci del contrario.